Ci sono luoghi che non hanno bisogno di essere lontani per sembrare lontanissimi. I Piani Resinelli sono così. Ti basta uscire dall’auto, respirare a fondo e accorgerti che l’aria ha un odore diverso, più pulito, con una punta di resina e legno umido. Sei ancora in Lombardia, a poco più di un’ora da Milano, eppure il rumore della città sembra già un ricordo lontano.
Questo trekking è uno di quelli che non richiedono grandi preparativi. Non serve essere allenati, né partire all’alba. Serve solo voglia di camminare, guardarsi intorno e lasciarsi sorprendere. E ti capiterà più volte.
I Piani Resinelli si trovano sulle Prealpi Lombarde, in provincia di Lecco, e si estendono tra i comuni di Abbadia Lariana, Mandello del Lario, Ballabio e Lecco. La strada per arrivarci è già parte dell’esperienza: una serie di tornanti che salgono dal paese di Ballabio, con il lago che ogni tanto compare tra gli alberi, quasi a voler anticipare quello che vedrai più avanti.
Cosa tratteremo
Arrivare e parcheggiare senza stress
Una volta superato il cartello di benvenuto ai Piani Resinelli, la sensazione è quella di essere arrivati in un piccolo altopiano sospeso. Qui il tempo sembra scorrere più lentamente. Il Parcheggio dei Resinelli, ampio e gratuito, è il punto più comodo dove lasciare l’auto. Scendendo, sentirai subito le voci degli escursionisti, il rumore secco degli scarponi sulla ghiaia, qualcuno che sistema lo zaino.
Da qui bastano pochi minuti a piedi per raggiungere Via degli Escursionisti, dove inizia il percorso. Se invece arrivi presto e trovi posto al Parcheggio Valentino, sei praticamente già sul sentiero. Ma ti capiterà di notare che, dopo le nove del mattino, questo parcheggio diventa una piccola lotteria.
L’inizio: il Parco Valentino e l’atmosfera giusta
Il trekking parte in modo dolce, quasi senza farsi notare. Da una parte il Parco Valentino, dall’altra il Parco Avventura per i bambini. In inverno, il prato si trasforma in una distesa bianca dove senti il rumore dei bob che scivolano e le risate dei più piccoli. Poco più in là, il noleggio di slittini del Campeggio Meridiana aggiunge quel tocco di vita quotidiana che rende il luogo autentico, vissuto.
È qui che capisci che questo non è un trekking “selvaggio”, ma un percorso che mette insieme natura e persone, senza forzature.
Dentro il bosco: quando il sentiero prende forma
Dopo i primi passi, il sentiero entra nel bosco. La salita è lieve, costante. Non c’è bisogno di guardare continuamente i piedi: puoi permetterti di alzare lo sguardo, ascoltare il rumore ovattato dei passi, il vento che muove i rami. In inverno, quando la neve copre tutto, il bosco sembra assorbire ogni suono. Mi è sembrato di sentire persino il mio respiro diventare più lento.
Il sentiero è battuto, ben segnato. Con scarpe da trekking si cammina senza problemi, anche se qualche tratto può risultare più scivoloso quando le temperature scendono. Non ci sono rifugi né fontane: è uno di quei dettagli che ti ricorda di portare con te l’essenziale.
Il Belvedere dei Piani Resinelli: il primo colpo d’occhio
Dopo circa trenta minuti, quasi senza accorgertene, arrivi al Belvedere dei Piani Resinelli. Una passerella in ferro si sporge nel vuoto. Se soffri di vertigini, te ne accorgi subito. Se invece riesci ad avvicinarti, il panorama ti prende tutto insieme.
Sotto di te, il Lago di Como. A seconda della giornata può apparire nitido, brillante, oppure nascosto da un velo di nebbia che rende tutto più misterioso. È uno di quei punti dove vedi persone fermarsi in silenzio, magari scattare una foto e poi restare lì, senza dire nulla. Come se le parole servissero a poco.
Qui il sentiero si divide. Puoi tornare indietro, soddisfatto. Oppure puoi continuare.
Verso il Monte Coltignone: quando il passo cambia
Proseguire verso la cima del Monte Coltignone significa aggiungere un po’ di pendenza. Nulla di proibitivo, ma lo senti nelle gambe. Il sentiero resta chiaro, protetto da staccionate nei punti più esposti. In inverno, la neve rende tutto più luminoso, ma anche più delicato: qualche tratto può essere ghiacciato e conviene muoversi con attenzione.
Ti capiterà di incontrare altri escursionisti, scambiare due parole, chiedere com’è la cima. È uno di quei percorsi dove la condivisione nasce spontanea, senza bisogno di presentazioni.
In vetta: il tempo che si ferma
Arrivare in cima al Monte Coltignone non è un traguardo eclatante. Non ci sono croci monumentali, né rifugi affollati. C’è spazio, aria, panorama. La vista si apre sulle montagne, sul lago, sulla pianura che sembra lontanissima.
Se resti abbastanza a lungo, ti accorgi che il paesaggio cambia. Le nuvole si muovono, la luce si abbassa, i colori diventano più morbidi. È in questi momenti che capisci perché molti aspettano il tramonto.
Vicino alla cima, quasi nascosta, c’è una piccola cassetta di legno. Dentro, un libro di vetta. Non me lo aspettavo. Leggere le frasi lasciate da chi è passato prima di te crea un senso di continuità. Qualcuno racconta una giornata difficile, qualcun altro una gita in famiglia, altri ancora scrivono solo una data e un nome.
Lasciare anche la propria traccia è un gesto semplice, ma significativo. Un modo per dire “io sono stato qui”.
Il ritorno: lo stesso sentiero, un’altra luce
Il percorso di rientro è ad anello, intuitivo. Tornando indietro, il paesaggio sembra diverso. La luce cambia, il bosco assume altre sfumature, il lago appare da nuove angolazioni. È una sensazione che ho apprezzato molto: camminare nello stesso luogo senza mai avere l’impressione di ripetere qualcosa.
Quando torni al parcheggio, con le gambe un po’ stanche e la mente leggera, ti rendi conto che questo trekking non è solo una passeggiata. È uno di quei luoghi che riescono a farti staccare davvero, anche se sei rimasto vicino a casa.
E mentre rimetti lo zaino in auto, magari con le mani ancora fredde, ti viene già voglia di tornare. In un’altra stagione, con un’altra luce.